Tradizionale (dall’ enciclopedia Treccani): della tradizione, che è per tradizione, che corrisponde a una tradizione: festa, solennità, cerimonia t.; secondo gli usi t.; i costumi t. di un paese; accogliere, seguire, o superare le idee, le concezioni, i pregiudizî t.; una pittura, un artista t., che segue e rispetta la tradizione. Ecco, arrampicare Trad, significa un po’ tutto questo, una festa per chi lo fa, una cerimonia, quella della preparazione del materiale che va fatta in maniera molto meticolosa, ancor più che nella normale attività arrampicatoria. Ci si mette lì sull’asfalto di fronte alla macchina e si cominciano a contare i friends, i nuts, i tricam, i cordini, i bolnuts, insomma tutto quello che è possibile mettere e rimuovere velocemente sulla roccia senza lasciare una ferita, un segno del tuo passaggio. È possibile farlo un po’ ovunque ci sia un po’ di roccia a disposizione, magari evitando gli spit o i fix e accontentandosi di quello che offre la natura. Poi però, ci sono dei posti, dove certi gesti assumono una loro specifica solennità. Posti dove questo tipo di attività è diventata una sorta di religione, dove circa 40/45 anni fa una specie di setta si è messa a fare proseliti, radunando subito una folta schiera di seguaci. Una setta che vede in Giampiero Motti il suo Guru, la Valle dell’Orco la terra promessa, e Nuovo mattino è il suo Nome.
Stregati anche noi da certe idee, abbiamo deciso di buttarci in questo mondo e così i primi di giugno di quest’anno la Scuola ha deciso di fare un aggiornamento “Tradizionale”. Scelte le vie tra le classiche della zona di Noasca, sede del nostro albergo, abbiamo provato a saggiare la differenza di vedute del nostro modo “provinciale” di arrampicare e quello di questi uomini visionari che hanno spostato in alto l’asticella dell’arrampicata in Italia e nel mondo. “Via del Diedro”, “Via dello Spigolo” e “Pesce d’Aprile”, sono gli itinerari, tutti intorno al sesto grado, che ci hanno visto impegnati. Un modo nuovo di proteggersi, su vie nuove per noi, su roccia diversa dalla solita, con nuove tecniche ad incastro, di mani, dita, piedi e se non basta anche tutto il corpo. Forse un po’ troppe novità tutte insieme, tanto che qualcuno è stato portato a “voler” verificare la tenuta dei friends e dei nuts. Fortunatamente se messi bene tengono, eccome se tengono.
La prima per me è stata la “Via dello spigolo” che presenta due tiri intensi e leggermente strapiombanti. Scopro subito che certe sicurezze le ho lasciate a casa. Le cerco nello zaino, ma niente. Metti il primo friend e subito senti il bisogno, nonostante il passaggio non troppo difficile, di metterne subito un altro. Two is meglio che one. In placca non si protegge con nulla, si va affidandosi all’aderenza, aspettando con ansia la prima fessura in cui infilare nervosamente qualcosa. Riccardo invece, il mio compagno di scalata, sembra NON? risentirne molto del cambiamento di prospettiva. Da queste parti c’è già stato e di margine ne ha più di me. La seconda via della Giornata è stata “Via del Diedro”. Proprio di fianco alla nostra via, pochi giorni prima uno svizzero ha aperto una via trad di 8b+ dal nome “Conosci il tuo Gatto”. Cosa sia riuscito a mettere su quelle lavagne lo sa solo lui. La nostra via invece parte subito molto intensa. Il secondo e il terzo tiro sono due diedri-fessura leggermente strapiombanti che richiedono molta forza. Per me anche troppa tanto che provo l’effettiva tenuta delle protezioni appena messe facendo un prolungato resting. Poi ad un certo punto ti rendi conto quanto da queste parti avere tutto doppio è veramente utile, e se non ce l’hai o impari a volare o a farti venire il pelo sullo stomaco.
La sera ci raggiunge Maurizio Oviglia, un estimatore della pratica Trad che da queste parti non solo ha iniziato a muoversi sulla roccia ma ha anche aperto moltissime vie ormai passate alla storia. Il giorno dopo ci apre ai segreti della tecnica ad incastro, portandoci per prima cosa di fronte alla mitica fessura Kosterlitz. Una tecnica veramente difficile da applicare se non altro per quanto, se fatta senza guanti, risulta dolorosa. Con noi istruttori della scuola il venerdì, ci hanno raggiunto i ragazzi del corso AR2 che stiamo tenendo. Prima approccio con la roccia granitica per loro, che gli facciamo fare, prudenzialmente in falesia. Ovunque ti giri da queste parti si respira aria di Storia: “Il Sergent”, “Il Caporal”, “Torre di Aimonin”. In giro ci sono linee che fanno venire i brividi come “la Fessura della Disperazione” che sale come una cicatrice lunghissima prima tra l’obliqua e l’orizzontale poi in verticale sempre larga da dover utilizzare solo friend di dimensioni di un ananas. La sera un regalo inaspettato ci attende al Rifugio Muzio, Andrea Giorda, un altro protagonista dell’arrampicata della Valle dell’Orco, tiene una conferenza sulla storia dell’arrampicata in valle per un aggiornamento di una scuola CAI di Roma. Ci aggreghiamo volentieri e ci caliamo beatamente nelle storie e gli aneddoti vissuti in prima persona da Giorda e Oviglia. Nonostante la stanchezza rimaniamo tutti incantati e desti di fronte alle foto d’antan che raffigurano scanzonati ragazzi vestiti anni 80 arrampicare su pareti ancora vergini.
Presa confidenza con la roccia e le nuove tecniche, il sabato portiamo i nostri allievi a fare alcune vie lunghe. Nonostante siano ormai tre giorni che tocchiamo certe superfici, anche il sabato le protezioni non si distanziano, anzi. Per gli allievi è veramente interessante vedere cosa si può fare con quattro pezzi di ferro senza dover per forza ferire la parete col trapano. Le soste per fortuna sono a fix e a prova di bomba, ma non tolgono niente al fascino di certe linee. All’albergo a Noasca ci rifocilliamo a suon di cervo, formaggio di malga, salame di camoscio, lardo e castagne. Ogni pasto è una festa per il palato. La domenica ci spostiamo in una nuova falesia dal nome molto suggestivo: Atlantide. Una falesia che sta sul lago e che normalmente d’estate è sommersa dall’acqua, mentre in primavera data la scarsa portata del lago affiora dalle rive. Lì abbiamo attrezzato alcune vie di fessura per poter far esercitare gli allievi all’apertura da primi di una via in stile trad, con la sicurezza in più però di una corda dall’alto pronta a rendere il tutto più sicuro.
Ce ne andiamo da questo posto magico con una consapevolezza diversa, siamo cresciuti, abbiamo in bagaglio qualcosa in più da poter tirar fuori al momento opportuno, sperando che i nostri neuroni specchio si ricordino di quanto fatto in questi giorni se necessario.
Siamo venuti qui guardando al passato consci che sia proprio questo il futuro. W il Trad.
Giacomo